majoranaEttore Majorana è scomparso verso la fine di marzo del 1938.
Già … “scomparso”!
É questo l’aggettivo chiave di questa nostra storia. “Scomparso” in questo caso non sappiamo neanche cosa voglia dire: scomparso perché morto o scomparso perché nascosto da qualche parte? E quali motivi avrebbe avuto per nascondersi? E chi lo avrebbe voluto morto? O è lui stesso ad essersi procurato la morte?
Non ci sono, neanche in questo video, risposte a queste domande. Semplicemente: non lo sappiamo noi, come non lo sa nessun altro. In moltissimi, scienziati di chiara fama, storici, scrittori, registi cinematografici, perfino fumettisti, hanno detto la loro. Le ipotesi avanzate sono molte e una diversa dall’altra. Non si riesce neppure a stabilire quale sia il giorno esatto di questa scomparsa: il 25 quando esce dal suo albergo a Napoli? Il 26 quando scrive l’ultimo messaggio? O uno o due giorni dopo, come qualche storico sostiene? É una storia piena zeppa di misteri. Che fine abbia fatto Ettore Majorana non si sa. Le molte fonti utilizzate per questo video sono spesso in disaccordo, alcune sono datate, altre molto recenti. Tutte fanno affidamento su due elementi: i racconti di chi l’ha conosciuto, i colleghi e i parenti, e le sue lettere, molte lettere.

 

Ettore, quarto di cinque fratelli, nasce a Catania il 5 agosto 1906, in una famiglia di altissimo livello culturale e sociale. Il nonno era stato due volte ministro e tra docenti universitari, statisti, parlamentari, non si sa chi fosse più importante e conosciuto. Il padre Fabio si laurea in ingegneria, strada che anche Ettore sceglie. Si racconta di una sua predisposizione incredibile verso la matematica, fin dai quattro anni, quando estrae radici quadrate con la facilità di chi scarta una caramella. Le lezioni ad Ingegneria non sono quello che si aspetta. É scontento dei professori che non sono, secondo lui, all’altezza.
In quel periodo, all’Istituto di Fisica di Roma, la cattedra di fisica teorica è occupata da Enrico Fermi, scienziato già affermato e conosciuto. A guidare la politica universitaria c’è il ministro Orso Mario Corbino, un fisico palermitano, che è promotore, assieme a Fermi, dell’istituzione di un gruppo di lavoro davvero speciale, poi battezzato “ragazzi di via Panisperna”, dal nome della strada dove si trova l’Istituto. É lo stesso Corbino a lanciare un invito agli studenti di ingegneria, perché passino a fisica e entrino a far parte del gruppo di Fermi. E così eccoli i “ragazzi”, quelli che faranno la storia della fisica: Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Ettore Majorana. Il gruppo diventa presto il cuore di un centro di ricerca sulle frontiere della fisica, con particolare riferimento alle teorie atomiche e quantistiche. Accanto a Fermi c’è uno sperimentale eccezionale, Franco Rasetti. Poi arriveranno altri nomi importanti: tra questi Giovanni Gentile jr, che sarà il più stretto amico di Ettore. É il figlio del noto filosofo, senatore del Regno, già ministro dell’Educazione Nazionale.
La principale scoperta del gruppo, nel 1934, è la proprietà dei neutroni lenti di rompere un nucleo pesante, che porta al premio Nobel per Fermi e dà avvio alla realizzazione del primo reattore nucleare e successivamente della bomba nucleare a fissione. In via Panisperna la fisica “atomica” diventa “nucleare”.
Emilio Segrè insiste perché anche il suo compagno di università Ettore passi a fisica, molto più adatta al suo modo di intendere la scienza. Nel gruppo di fisici, Majorana sembra un alieno. Ha capacità di analisi e di calcolo fuori dal comune. Riesce ad individuare e risolvere i problemi con grande anticipo. I suoi rapporti con il resto del gruppo però non sono idilliaci. Viene dipinto da Laura Fermi, moglie del fisico romano, come scontroso, poco incline alla socializzazione, restio a pubblicare i suoi lavori. Un alieno appunto, ma geniale, tanto che Fermi lo paragona nientemeno che a Newton e Galilei, i padri della moderna fisica e del metodo scientifico.
Quando gli storici come Roberto Finzi, e soprattutto, Francesco Guerra e Nadia Robotti, si trovano tra le mani documenti non ancora esplorati, danno di Ettore un’immagine assai diversa. Ci sono vari esempi che fanno crollare l’ipotesi del ragazzo disadattato o peggio: gli interventi illuminanti di fronte al gotha della fisica e matematica, quando ancora non è laureato, le discussioni accesissime con Fermi, in cui non cede di un passo sulle sue idee e interpretazioni. Uno scienziato coraggioso e combattivo … e lo ripetiamo, geniale.
Nella primavera del 1933, chiede e ottiene una borsa di studio dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) per recarsi in Germania, a Lipsia, presso Werner Heisenberg, un totem della fisica nucleare dell’epoca e in Danimarca da Niels Bohr per approfondire le sue conoscenze in fisica nucleare e delle particelle.
Dopo la scoperta del neutrone da parte di Chadwick nel 1932, Majorana è il primo a sostenere la tesi, oggi nota a qualunque studente, di un nucleo fatto da protoni e neutroni interagenti. Anche Heisenberg sviluppa una teoria analoga. Ettore la corregge, la sistema e nasce così la teoria nucleare Heisenberg-Majorana. É il fisico tedesco a convincerlo a pubblicare i suoi risultati e non perde occasione per complimentarsi pubblicamente con lui, che diventa un’autorità nella fisica europea. É l’apoteosi scientifica! In questo periodo l’”apatico” Ettore pubblica tre lavori in pochi mesi, cosa mai successa a Roma. A Lipsia si trova benissimo, in un ambiente pieno di fisici che capiscono quello che dice, che non hanno pensieri nascosti sulla sua figura. Anche la società tedesca non gli dispiace; lo apprendiamo da alcune lettere che scrive alla famiglia, in cui racconta non solo le sue esperienze di lavoro, ma anche quello che pensa della situazione tedesca. Ettore non si scandalizza per la politica repressiva del Reich. La considera una risposta “a una necessità storica: far posto ad una nuova generazione che rischia di essere soffocata dalla stasi economica.” L’adesione, più filosofica che reale, di Majorana alle idee del nazismo, diventerà uno dei punti di dibattito sui motivi della sua scomparsa. In via Panisperna il suo modo di vedere non piace per niente, anche perché di quel gruppo ben pochi rimarranno in Italia, per motivi vari, legati soprattutto alle leggi razziali del 1938. Forse anche questo ha a che fare con il nuovo Majorana del post-Lipsia. uesto suo modo di pensare non piace affatto in via Panisperna, da dove
Ettore, infatti, cambia di colpo, come se qualcosa di sconvolgente avesse attraversato la sua esistenza. Il ragazzo allegro scompare e lascia il posto a un Majorana “cupo e solitario”, una specie di eremita, che trascura lo studio, gli amici e la sua stessa persona. Amaldi racconta che devono perfino preoccuparsi di mandargli un barbiere a domicilio. Negli anni a venire – continua Amaldi - sarà impegnato a calcolare le forze in campo, a studiare la potenza delle flotte contrapposte in un probabile futuro, per capire chi avrebbe avuto la meglio in una eventuale guerra. Anche questo timore di una guerra è un elemento da tenere presente. Con la sua enorme capacità intuitiva, non può non cogliere certi segnali. Già dall’aprile 1937 il regime fascista comanda il censimento degli ebrei nella pubblica amministrazione e, all’inizio del 1938, tocca all’Università: studenti e docenti ebrei vanno schedati. Non è tanto azzardato pensare che questi avvenimenti abbiano turbato talmente il suo animo, così sensibile, da indurlo a scomparire (in un modo o nell’altro).
La sua scomparsa può avere a che fare con questo cambio di umore? Forse in Germania si è reso conto di dove sta per andare la fisica, diventando uno strumento di potere più che di conoscenza. Non si può dimenticare che la fisica vive un’epoca di clamorosi rovesciamenti dei suoi paletti. La relatività di Einstein e i nuovi modelli quantistici sono, a dir poco, sconvolgenti. La consapevolezza che ogni azione o misura, fatta per conoscere un fenomeno, ne modifica le caratteristiche, può diventare drammatica se riferita alla vita delle persone.
Potrà cambiare la vita di tutti, quello che in via Panisperna sta nascendo? Forse la fisica, anche quella di Majorana, potrà essere responsabile di situazioni drammatiche future? É possibile che Ettore abbia la percezione o la sensazione che si vada verso una catastrofe, che diverrà tragica realtà con le due bombe sul Giappone, quando la guerra è, di fatto, ormai finita?
Questa resta un’ipotesi possibile, quella preferita da Leonardo Sciascia e adottata da altri, per spiegare la sua scomparsa.
Ma Majorana alla scienza come veicolo di conoscenza ci pensa ancora, eccome. Nel 1937 viene indetto un concorso a cattedre, il primo da dieci anni, dopo quello che era stato vinto da Enrico Fermi nel 1926. É tutto “apparecchiato”: ci sono i posti liberi e i candidati da promuovere. Sono tre, Wick, Racah e Giovanni Gentile jr, il suo più caro amico, in questo ordine anche come meriti presentati.
Non si sa se sia una sua decisione o se sia spinto da Segrè e Amaldi, sta di fatto che decide di partecipare anche lui e presenta un lavoro eccezionale, sconvolgente, sulla simmetria elettrone-positrone. É in questo lavoro che compare il famoso “neutrino di Majorana”, particella ipotizzata e sulla quale gli scienziati hanno costruito ipotesi, esperimenti e discussioni che sono ancora in corso dopo più di 80 anni.
La presenza di Majorana al concorso a cattedre è un terremoto, perché salta per aria tutto il progetto: lui, in quanto a meriti, si colloca al primo posto e Gentile finisce al quarto, quindi escluso. Bisogna inventarsi qualcosa. Il ministro per l’educazione, Giuseppe Bottai, si dice su imbeccata di Gentile padre a tutela del figlio, adotta una procedura insolita ed eccezionale. Majorana non parteciperà al concorso, non serve. La cattedra gli verrà assegnata “per chiara fama”. Così si salvano capra e cavoli e ognuno ha il suo posto al sole. A Majorana viene affidata la cattedra di fisica teorica all’Università di Napoli. Da quanto scrive al padre sembra soddisfatto e scherza con Gentile sullo strano escamotage trovato per non far torto a nessuno.
Dunque Majorana arriva a Napoli, dove lo attende Antonio Carrelli, direttore della Facoltà. Il 13 gennaio 1938 entra in aula per la sua prima lezione. Si trova di fronte degli studenti, molti dei quali non sono in grado di seguire le sue spiegazioni di così elevato livello. Se ne lamenta con Amaldi, ma lo fa dispiaciuto, come se a quegli studenti ci tenesse e soffrisse per le loro difficoltà.
I fatti sono raccontati, con estrema precisione e suffragati da documenti, all’epoca inediti, da Erasmo Recami. [foto del libro “Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze”]
Alloggia all’albergo Bologna, da dove, la sera del 25 marzo 1938 esce. Ha scritto un paio di lettere. Una per la famiglia che lascia sul comodino, l’altra è diretta a Carrelli e dice:
Caro Carrelli, ho preso una decisione che era oramai inevitabile. Non c’è in essa un solo granello di egoismo. Ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti […] dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle 11 di questa sera, e possibilmente anche dopo.
É un enigma: cosa vuol dire Majorana? Le 11, cioè le 23, è l’ora in cui il piroscafo esce dal porto di Napoli in direzione Palermo. Cosa significa “scomparsa”? Viene da pensare al suicidio, ma perché potrà conservare un caro ricordo “anche dopo”? La vita dopo la morte? O nessuna morte, ma solo una fuga?
É più chiaro il messaggio inviato alla famiglia: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.” Questo è decisamente l’addio di uno che sta per farla finita.
E, tuttavia, non succede niente. Ettore sbarca regolarmente a Palermo, prende alloggio all’hotel Sole e l’indomani mattina riparte per Napoli. Scrive un telegramma a Carrelli. “Non allarmarti – dice - segue lettera.”
La lettera ha questo messaggio “Il mare mi ha rifiutato, e ritornerò […] Ho però intenzione di rinunciare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana, perché il caso è differente.” Dunque niente suicidio, torna a Napoli, dove vuole però cambiare la sua condizione. Perché? Non lo sappiamo. Quel messaggio è l’ultima informazione che abbiamo di Ettore Majorana: è il 26 marzo 1938.
Si acuisce la versione del suicidio. Si è buttato dal piroscafo, si comincia a dire. Lo dirà anche Maria, la sorella minore: “All'alba fu visto sul ponte della nave. L'alba, come tutti sanno, è il momento più delicato per chi sta maturando il suicidio. Io sono sicura che Ettore si gettò in mare portando con sé tutto il peso della sua angoscia e dei suoi dubbi atroci.”
In realtà, però, questa faccenda non è per niente chiara. Tanto per cominciare la data della sua eventuale partenza da Palermo non è certa, potrebbe essersi trattenuto in Sicilia un altro giorno o forse due. Si era recato all’Università per incontrare Segrè, senza trovarlo: una visita tra vecchi amici, normalmente. Salta fuori un testimone, Vittorio Strazzèri, che dice di aver viaggiato con Majorana nella stessa cabina e averlo visto scendere dal piroscafo vivo e vegeto. Ma, questa versione viene poi smentita. C’è sì un siciliano con Strazzèri, ma non è Majorana. Potrebbe aver avuto il suo biglietto. Potrebbe averglielo dato lo stesso Ettore per depistare le ricerche.
… già … potrebbe!
Un’infermiera che lo conosce bene, dice di averlo incontrato, alcuni giorni dopo, a Napoli tra Palazzo Reale e la galleria. Quella dei testimoni è una storia che si ripete sempre quando non si hanno notizie di un personaggio famoso. Ce ne saranno altri, diversi altri, negli anni seguenti, con indicazioni talvolta difficili da prendere in considerazione.
Gli indizi si rincorrono e si contraddicono. Ettore consegna i suoi appunti alla sua studentessa preferita, Gilda Senatore, che li darà a Carrelli. Se ne separa perché non gli serviranno più?
Tutto è molto strano. Prima di lasciare Napoli, ritira il suo passaporto e alcuni mesi di stipendio. Al momento dell’imbarco ha in tasca il documento e una cifra considerevole di denaro. Cosa se ne fa uno che progetta un suicidio?
La scomparsa di un fisico così famoso e le parole lasciate a Carrelli e alla famiglia, fanno subito scattare l’allarme. Le ricerche cominciano, senza esiti. Viene interessato anche Mussolini, che scrive: “Deve essere trovato!”. É il capo della polizia, il “vice-duce” Arturo Bocchini a condurre le indagini. Se è morto si trova, dice, perché sono solo i vivi che non si riescono a trovare. Che poi è quanto sostengono gli esperti del porto di Napoli: il mare prima o poi, un cadavere lo restituisce. Ma non succede, non succederà mai. Passa un anno, non si trova niente di niente e il 4 aprile 1939 il caso viene archiviato.
Le indagini dell’epoca sono piene di lacune, con scarso impegno della polizia, come se importasse poco della scomparsa di Majorana. E questo è, davvero molto sospetto. Ci sono stranezze su stranezze. Quella forse più misteriosa ce la ricordano Guerra e Robotti: tra i documenti del capo della polizia si trova una cartella dedicata al caso. Ma dentro non c’è niente che si riferisca alle ricerche o ai risultati delle indagini. Perché? Sembra quasi che si sia voluto stendere un velo sull’intera vicenda. Che sia intervenuta la famiglia? Che, visto il periodo, ci fossero altri problemi da affrontare ben più impellenti e gravi della scomparsa di un fisico un po’ strano?
La stampa va a nozze e inventa ipotesi possibili o immaginabili.
C’è una lettera, che non ha data, ma gli storici la collocano, con grande probabilità, nel maggio del 1938, una lettera che il fisico Carlo Bernardini scrive a Gentile jr, con questa frase: “Caro Giovanni, come puoi immaginare la notizia di Majorana mi ha dato una vera gioia. Non è molto bello forse, ma in compenso non è una cosa così tragica come si pensava e ce ne si può rallegrare.
Se la data è corretta, e basta che sia dopo il 26 marzo del 1938, se ne può concludere che i pochi amici (come Giovanni Gentile) sapevano che Majorana era vivo e nascosto da qualche parte. Dove si trovi e cosa stia facendo di così “poco bello”, che però non è tragico come un suicidio, non lo sappiamo.
Sciascia, come altri, suppone che egli si sia recato in un convento per rinchiudersi fuori dal mondo. Perché? Sempre secondo Sciascia, si tratta di un messaggio lanciato a tutti gli scienziati come a dire “la scienza sta sbagliando, è su una brutta strada e io non voglio entrarci”. [frase mia non citazione]
Le ipotesi dello scrittore di Racalmuto sono povere di documentazione probatoria, eppure questa strada del convento è battuta fino in alto loco, fino al Vaticano. Quando gli storici possono consultare le carte desecretate, ci rimangono male. Anche la Santa Sede aveva mollato le ricerche del fisico catanese. C'è una bozza, del 5 marzo 1940, in cui si spiega, che: "Quanto a ciò che si è suggerito per ulteriori ricerche nel settore ecclesiastico, il Santo Padre non vede la cosa di pratica utilità dopo il già fatto ...".
La teoria del convento non compare solo negli anni seguenti (il lavoro di Sciascia è del 1975). C’è una lettera che il senatore Giovanni Gentile (padre dell’amico di Ettore) scrive al capo della polizia Bocchini, nel 1938, invitandolo ad intensificare le ricerche, in particolare nei conventi. Un allievo di Majorana, Rolando Pelizza, arriva ad indicare il convento dove Ettore si sarebbe rinchiuso: il monastero Certosino di Serra San Bruno in Calabria. Un luogo mistico in cui, si dice, abbia trovato conforto anche Paul Tibbets, il pilota che sganciò la bomba su Hiroshima. Ma queste restano ipotesi senza alcun riscontro concreto.
C’è poi la vicenda dell’uomo cane, un barbone di Mazara del Vallo, che sapeva di fisica, matematica, greco. Un personaggio strano, molto strano: educato, riservato, non chiede mai la carità. La gente del posto lo adotta, gli fa trovare qualcosa da mangiare. Si dice che una famiglia abbia mandato da lui il figlio per ripetizioni di matematica e fisica. A qualcuno viene un’idea: è Majorana. Lo si intuisce, oltre che dalla sua cultura scientifica, dalle lettere sul suo bastone E.M. e da quella cicatrice sulla mano destra. Se ne interessa anche Paolo Borsellino, allora procuratore di Marsala, che affida un’inchiesta al maresciallo Carmelo Canale. Lui scopre parecchie cose. Quel barbone si chiama Tommaso Lipari, è nato a Tunisi il 14 aprile 1900. Ma la notizia che più ci interessa è che “l’uomo cane” all’inizio del 1938 si trovava nel carcere di Favignana, mentre Majorana teneva le sue lezioni a Napoli.
C’è poi la pista del Sud America. Ci sono varie ipotesi sulle motivazioni che avrebbero portato Majorana dall’altra parte del mondo. Una è la stessa della sua chiusura in convento, sostituita da una fuga verso un altro continente, dove nascondere la propria identità. L’altra è legata alle sue affermazioni sul nazismo. C’è chi sostiene che le sue idee lo avrebbero indotto a collaborare con il regime hitleriano per dare una mano a Heisenberg, il solo fisico nucleare rimasto in Germania, capace di replicare un “Progetto Manhattan” alternativo, per creare l’”arma segreta” con cui vincere la guerra. A dire il vero sembra (e sembra anche a noi) una possibilità estremamente remota, data la sensibilità di Ettore e le sue dichiarazioni preoccupate sulla pace nel mondo.
Ad ogni modo questa pista sudamericana è supportata da alcuni episodi.
Nel 2011 il quotidiano Repubblica, pubblica una foto di Eichmann, il criminale nazista, scattata su una nave diretta a Buenos Aires nel 1955. Alla sua destra c’è un uomo con gli occhiali scuri. Corre la voce che potrebbe essere Ettore Majorana. La notizia esplode come una bomba e ritornano i sospetti della collaborazione di Ettore con la Germania nazista, da dove una quantità di gerarchi, piccoli e grandi, sono emigrati in Argentina. Viene fatto il riconoscimento facciale e, almeno all’inizio, non ci sono dubbi: è lui! Poi però arrivano gli esperti e giudicano la tecnica usata, passibile di un largo margine d’errore. Quell’uomo, secondo loro, non è Majorana. É un continuo tira-molla e l’entusiasmo dello scoop non è certo secondario alle roboanti, ma spesso poco documentate, dichiarazioni di averlo finalmente trovato.
Già prima, nel 2008, la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” intervista Francesco Fasani, un emigrato in Venezuela, che sostiene di aver conosciuto e frequentato, negli anni ‘50, Ettore Majorana a Valencia, dal momento che era solito mettere a posto l’automobile del fisico. Fasani mostra anche una foto che lo ritrae assieme al Signor Bini, come si faceva chiamare il presunto Ettore, e parla di una cartolina, trovata nell’auto, spedita nel 1920 da Quirino Majorana, lo zio, anch’egli fisico, di Ettore. Sembrano prove inequivocabili, ma sappiamo che, in casi simili, occorre andarci coi piedi di piombo. La notizia, tuttavia, è di quelle che non si possono lasciar perdere. Sono i RIS (Raggruppamento Indagini Scientifiche) dei carabinieri ad aprire un fascicolo, esaminare la foto e concludere: “I risultati ottenuti dalla comparazione del viso di Bini con quello di Ettore Majorana e con quello del padre dello scienziato, Fabio Majorana, quando aveva la stessa età del figlio, hanno portato alla

perfetta sovrapponibilità

delle immagini di Fabio e di Bini-Majorana.”
Per il procuratore Pierfilippo Laviano queste sono prove conclusive. Nel suo rapporto si legge: “Il reperimento di siffatta missiva nell'auto di Bini conferma la vera identità di costui come Ettore Majorana, stante […] il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico.”
La procura apre una pratica, che viene chiusa e archiviata quattro anni più tardi senza dare certezze. Da questa testimonianza nasce un’inchiesta giornalistica che porta al libro “La seconda vita di Majorana” [vedi foto per autori], in cui il mistero di Majorana viene dato per risolto: era vivo negli anni ’50 e se ne stava in Sud America, probabilmente in Argentina.
Ma è risolto davvero? In realtà la nostra storia non finisce qui e altri colpi di scena ci aspettano.
Tralasciamo di entrare nei dettagli di altre ipotesi, come quella che sia diventato un orologiaio in Calabria, quella della congiura dei fisici, gelosi del suo status, quella del senzatetto incontrato a Roma da un testimone, assieme a monsignor Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas romana.
Tra tutte le fonti usate per questo lavoro, una è molto particolare: quella del prof. Umberto Bartocci, matematico, il quale, nel 2015, pubblica il libro: “Ettore Majorana: un affare di stato?”. A prima vista può sembrare un titolo degno del peggior complottismo, ma leggendo le interessanti pagine, si capisce che l’autore analizza tutte le possibili ipotesi, facendo riferimento anche alle indagini precedenti e arriva alla conclusione che per quanto riguarda il suicidio e una fuga volontaria, ci sono elementi a favore e contrari che rendono impossibile stabilire se siano piste vere o false. Ma, nella seconda parte del libro, analizza due ipotesi, che definisce “alternative”: quella del rapimento e dell’omicidio. Perché mai rapire un fisico? Forse perché “qualcuno” poteva temere che tutta la sua conoscenza fosse messa a disposizione di Hitler? O, viceversa, era stato rapito per collaborare con l’amico Heisenberg? Come mai, si chiede Bartocci, dopo la scomparsa di Majorana, uno stuolo di fisici e chimici finisce negli Stati Uniti a costruire la bomba?
Altre ipotesi, dunque, dal sapore forte. Ma il punto che Bartocci sottolinea con molta forza è il fatto che le strade sono solo due: o è morto o è rimasto vivo. In quest’ultimo caso, e non sappiamo proprio dargli torto, prima o poi si sarebbe fatto avanti con la famiglia, la madre, la sorella Maria. E assai difficilmente questa apparizione sarebbe rimasta segreta. Resta dunque la sola pista della sua morte, che apre la strada a due soluzioni: il suicidio o l’omicidio.
Poi però succede qualcosa, che cambia, ancora una volta, le carte in tavola.
Nel 2020, Guerra e Robotti, pubblicano “Dossier Majorana” sui Quaderni della Società di Fisica. Il dossier contiene, tra le molte altre cose, un annuncio, tratto da una rivista religiosa del 1939. Riguarda una borsa di studio, finanziata dal padre di Ettore, per i missionari. Nel documento, del 3 novembre, si legge “è stata fondata una Borsa di Studio per l'educazione di un missionario al nome dello scomparso Ettore Majorana.” C’è poi una lettera indirizzata al papà di Ettore, di ringraziamento da parte di Padre Ettore Caselli, amministratore della rivista, che contiene questa frase: “Ammiriamo sinceramente il Vostro atto generoso per il compianto Ettore Majorana. Il Signore premi la Vostra grande fede ed il Vostro santo affetto per il caro estinto".
Potete fare un salto sulla sedia. I termini “scomparso, compianto, caro estinto” non possono lasciare dubbi. O il religioso aveva informazioni di prima mano o la famiglia voleva tenere nascosta l’eventuale fuga del proprio caro, coprendola con un indizio diabolico.
Ma c’è dell’altro.
Il primo ottobre 1939, Giovanni Gentile jr, partecipa alle esequie di un collega, Basilio Manjà, morto suicida; scrive poi all’amico Delio Cantimori (detto Gatto, storico della Normale di Pisa) una lettera, che termina con queste parole: "Così, caro Gatto, abbiamo perduto un altro amico. Pare un destino che spinge giovani come Majorana e Manià a queste supreme risoluzioni".
A questa affermazione danno risalto le ricerche di Guerra e Robotti e il grande pubblico la conosce solo nel 2020. Mettendo assieme queste due informazioni si potrebbe concludere che un suicidio c’è stato, ma non nel 1938, bensì più tardi, forse l’anno seguente.
Ora ci tocca concludere, ma come? Tutti gli indizi, le prove scritte e raccontate non portano ad una verità, portano a molte verità, in contrapposizione tra loro. Il nostro racconto è pieno zeppo di “forse”. Forse c’è un morto, ma non c’è alcun cadavere. Ormai sono passati 85 anni da quel fatidico 25 marzo, quando di Majorana si perdono le tracce una volta uscito dal suo albergo di Napoli. É probabile che non sapremo mai la verità, forse perché così ha voluto lo stesso fisico catanese. E allora forse aveva ragione Enrico Fermi, quando diceva: “Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito.

Fonti usate

  • Erasmo Recami: Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze – 1986 – Di Renzo ed. (usato edizione 2017)
  • Erasmo Recami: Il vero Ettore Majorana – Di Renzo ed. - (usato edizione 2017)
  • Roberto Finzi: Ettore Majorana – Un’indagine storica – Edizioni di storia e letteratura - 2023
  • Guerra – N. Robotti: Dossier Majorana - Quaderni SIF -2020 -
  • Umberto Bartocci – La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di stato? – 2015 – Andromeda (Il pdf può essere scaricato qui:  https://www.academia.edu/14048566/Ettore_Majorana_opere_scientifiche_e_vita)
  • Leonardo Sciascia – La scomparsa di Majorana – 1975 – Adelphi (usato versione digitale del 2012)
  • Nessuno mi troverà” – film documentario – regia Egidio Eronico – 2015