boschiIl primo attore di questo video è il fuoco.
Se Zeus ha reagito con tanta ferocia quanto Prometeo ha rubato le scintille sacre per donarle agli uomini, il fuoco doveva rappresentare un bene oltremodo prezioso. E non aveva torto. Questa scoperta ha cambiato la storia dell’umanità. Se non altro, la carne cotta sembrava più buona di quella cruda.
La nostra società si è sviluppata proprio attorno a questo fenomeno curioso, durante il quale un combustibile, come il legno o il carbone o il gas o liquidi di vario genere, reagisce con un comburente (di solito l’ossigeno) e produce energia. L’industrializzazione, nata dalla geniale idea di Thomas Newcomen e dalla abilità pratica di James Watt, parte proprio da qui; con le macchine a vapore inizia infatti la nuova era per la produzione. Dunque il fuoco è fondamentale, utile, direi “buono”, anche se il fatto che possa produrre ustioni e bruciarti la casa, qualche fastidio lo dà.
Il secondo attore di questo video è l’albero. Ad esso è demandato il compito di tenere buono l’effetto serra, assorbendo CO2 ed immettendo Ossigeno in atmosfera. Sono, ormai, tra i pochi amici che abbiamo ed essi vivono in grandi comunità che chiamiamo boschi o foreste, diversi per dimensioni e possibilità di controllo. Le loro funzioni sono innumerevoli. Lasciamo da parte quelle, per così dire, estetiche e godibili, grazie alle passeggiate che alla loro fresca ombra possiamo fare durante le calde giornate d’estate. In passato ai boschi era demandato anche il compito di fornire cibo, in tempi di carestia. Si pensi alle castagne o ai funghi, ai tartufi, ai frutti di bosco. Un importante effetto della presenza degli alberi è quello di proteggere il suolo: le radici, infatti, trattengono il terreno evitando frane e cedimenti; le loro chiome proteggono le piante più piccole, ma anche gli animali, da insolazioni e precipitazioni; inoltre trattengono l'acqua ed evitano alluvioni a valle. E poi nelle foreste viene preservata quella biodiversità così preziosa per il nostro vivere su questo pianeta. Dovremmo tutti amare i boschi ed essere loro eternamente riconoscenti. Ci sono casi, come a Las Gaviotas, dove la testardaggine di un uomo ha trasformato un deserto in un’enorme area boschiva straordinaria … e grazie al bosco ha “creato” la vita.
Il terzo attore di questo video è il responsabile degli incendi.
Ci sono un sacco di cose da chiarire. Chi è l’attore di questo gesto? Perché lo fa? Cosa comporta per la vita delle persone? E per l’ambiente?
Quello che ci serve, per cominciare, è un inventario. Dunque le domande diventano più precise: quante foreste ci sono nel mondo? e in Italia? Quante ne abbiamo avute in passato e quante ne restano oggi?
Uno dei documenti più curati su questo tema è il “Global forest resource assessment” (Valutazione delle risorse forestali globali) pubblicato dalla FAO (Food and Agriculture Organization), una delle tante emanazioni delle Nazioni Unite. La pubblicazione comprende l’analisi di ben 236 paesi e territori dal 1990 ad oggi, con previsioni fino al 2025.  (https://www.fao.org/forest-resources-assessment/en/ )
A spanne, possiamo dire che circa un terzo del pianeta è coperto da foreste, più o meno 4 miliardi di ettari. Le foreste molto grandi non seguono i confini statali, basta pensare che quella amazzonica si estende in nove stati, anche se la maggior parte si trova in Brasile. Grandi foreste si trovano in Russia, Stati Uniti, Canada e Cina.
Anche l’Italia non è messa male: ci sono 11,4 milioni di ettari di foreste, corrispondenti al 38% del territorio nazionale. Del resto la conformazione della nostra nazione con così tante montagne tra Alpi e Appennini, sembra un luogo perfetto per la presenza di vaste aree boschive.
Gli alberi crescono, grazie all’impollinazione, e muoiono per cause naturali, ad esempio per stress ambientali, per attacco di parassiti, alcuni vengono sradicati da tempeste di vento, come noi ben ricordiamo nel 2018 con la tempesta Vaia sulle Dolomiti. L’ideale sarebbe avere un pareggio tra morti e nuovi nati, cosicché l’equilibrio si mantenga inalterato. Purtroppo alle cause citate ne va aggiunta un’altra: l’azione dell’uomo, che si dimostra, in questo senso, il peggior nemico delle foreste e dei boschi.
Il documento della FAO già citato, fornisce i valori per decadi dei nuovi nati (naturalmente o piantati dall’uomo) e quelli deceduti. Come si vede la deforestazione è sempre maggiore della rinascita e questa è dovuta principalmente alla natura, piuttosto che all’uomo, che, così, non ci fa una bellissima figura. (https://www.fao.org/3/CA8753EN/CA8753EN.pdf )
La deforestazione causata dall’uomo è sempre figlia di interessi. Se all’inizio il legno degli alberi serviva per la vita di ogni giorno, per cucinare, scaldarsi, … con l’avanzare del consumismo le aree boschive sono diventate preziose per altre ragioni. Ad esempio per soddisfare un popolo con qualche soldo in più, aumentando i pascoli per produrre più carne, o per piantare cereali con cui fare mangimi o per ottenere combustibile per le automobili, o per aprire strade o costruire città, o per sostituire una “improduttiva” foresta pluviale con rachitiche palme da olio, come gli abitanti di Malesia e Indonesia hanno potuto constatare di persona. Il termine “improduttiva” è sarcastico: siamo certi che gli oranghi del Borneo la prenderebbero molto a male se così non fosse. Per non parlare della quantità enorme di CO2 finita in atmosfera grazie a queste diverse destinazioni d’uso.
Comunque la si pensi sui cambiamenti climatici, non c’è dubbio che questa frenetica attività di distruzione delle foreste, abbia inciso non poco sull’effetto serra, con tutto quello che ne consegue.
Senza tornare tanto indietro nel tempo, negli ultimi 30 anni è andata perduta un’area di foreste uguale all’Unione Europea. Certo, sotto la spinta delle associazioni ambientaliste e di alcuni politici saggi, si è provveduto a ridurre la deforestazione. Ma voi, visto che seguite NL, non potete cadere nel trucchetto. Il verbo “ridurre” è una trappola per gli allocchi: ridurre non significa “non tagliamo più niente”, significa continuare a disboscare solo un po’ più lentamente … e il massacro continua imperterrito. E a rimetterci non è la natura, che avrà qualche miliardo di anni per riprendersi, ma quello che si è autodefinito homo sapiens, la cui immagine è, oggi, quella di un imbecille che sta tagliando il ramo sul quale è seduto.
Tutto questo ci fa arrabbiare, ma, come se non bastasse, ci sono anche gli incendi. Uno dice: “Cosa vuoi farci? Capita che il legno bruci, perché non dovrebbe succedere agli alberi delle foreste?”. Calma! Un incendio ogni tanto va bene, ma …
All’arrivo della bella stagione i telegiornali si riempiono, letteralmente, di fuoco e fiamme nei loro servizi. Non si salva nessuno: la Russia, il Canada, l’Europa, l’Africa, tutti coinvolti. Vediamo ormai da così tanto tempo quelle immagini drammatiche di alberi bruciati, di case distrutte, di persone costrette alla fuga, da essere diventate routine. Alziamo le spalle e al massimo diciamo “toh, un altro incendio!” La notizia non colpisce più come un cazzotto nello stomaco, come invece dovrebbe essere.
Gli incendi sono un carico da novanta, aggiunto alle attività di deforestazione per profitto.
A questo punto dobbiamo contare le perdite. La FAO ci comunica che nel periodo 1990-2020 se ne sono andati, tutto compreso, 178 milioni di ettari, area grande come la somma di Italia, Francia, Germania e Penisola iberica. Il triste record di deforestazione spetta all’Africa, seguita dal Sud America. Che il problema sia molto serio se ne è accorta anche la politica, che ha avviato programmi di monitoraggio delle foreste, anche se questo avviene soprattutto in Europa e molto meno là dove servirebbe di più, come in Sud America.
Al macello, fatto con ruspe e dinamite, si aggiunge quello col fuoco. In che misura? E poi, come avviene? E perché?
Possiamo cominciare dall’America Latina. C’è un documento pubblicato nell’estate del 2022 da parte del WMO (Organizzazione meteorologica mondiale) che imputa a due fattori essenziali il fatto che quell’anno è stato il peggiore degli ultimi 60 per quanto riguarda la distruzione da fuoco delle foreste: la siccità e l’attività umana. [https://public.wmo.int/en/our-mandate/climate/wmo-statement-state-of-global-climate/LAC]
Il riferimento è alla foresta amazzonica, considerata un polmone eccezionale per il pianeta, una delle rare zone del mondo in cui viene assorbita più CO2 di quanta ne venga prodotta. Tuttavia, secondo l’indagine pubblicata su Nature nel luglio 2022, [https://www.nature.com/articles/s41586-021-03629-6] questo vantaggio va calando e presto ci sarà il sorpasso e anche da quell’immensa foresta usciranno gas serra … da non credere!
Ma il dato forse più preoccupante è il trend. Negli ultimi 25 anni l’incidenza del fuoco nella distruzione delle foreste è raddoppiata a livello mondiale. Colpa dei cambiamenti climatici? Può darsi, ma il fuoco non sempre e non spesso si accende da solo. Certo, l’aumento delle temperature, i lunghi periodi senza piogge, la siccità e l’incipiente desertificazione non aiutano, ma ci sono altre cause, ben più drammatiche, per quanto riguarda gli incendi boschivi. Così il clima secco e caldo è più un aiuto che una causa diretta.  
Il 2021 si configura come anno horribilis da questo punto di vista. Ricorderete quanto accaduto in Siberia in quell’anno, con incendi anche oltre il circolo polare artico, con milioni di ettari di foreste distrutte. E il 2022 non è stato da meno.
L’EFFIS, il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi, ha calcolato che nei primi 7 mesi del 2022, sono stati bruciati 700 mila ettari di foreste nella sola UE.
Global Forest Watch [https://www.globalforestwatch.org/] consente di distinguere tra alberi distrutti da agricoltura e disboscamento e quelli distrutti da incendi.  “È sbalorditivo”, ha detto alla Bbc, James MacCarthy, analista dell’associazione, “ed è sorprendente quanto l’azione del fuoco sia aumentata in così poco tempo”. Il documento è molto interessante, perché riporta i dati suddivisi per paesi, confrontando le situazioni boschive tra il 1990 e il 2021. C’è anche l’Italia, [link] che in questo periodo di tempo ha perduto 220 mila ettari di foreste naturali, il 2,3% della copertura 1990. Per fortuna, di fianco a questo dato, c’è anche quello del guadagno, per riforestazione o semplicemente per aver lasciato crescere in pace i nostri alberi, per cui alla fine la perdita netta negli ultimi 31 anni è limitata ad uno 0,3%. Il fatto che la superficie boschiva venga protetta è una buona notizia, ma anche da noi di incendi ce ne sono un sacco e la guerra tra chi brucia e chi cerca di spegnere è sempre più forte.
Uno studio eseguito all’Università di Barcellona (https://www.youtube.com/watch?v=hRqYa7oiIu8 ) stima che solo un quarto degli incendi sia di natura, diciamo così, naturale, un altro quarto sia di natura dolosa, mentre il 50% sia dovuta al singolo individuo e alla sua disattenzione o stupidità: il classico mozzicone di sigaretta ancora acceso buttato per terra o le sterpaglie bruciate in condizioni pessime (vicino ai boschi e col vento). In realtà queste percentuali sono molto variabili a seconda non solo dei paesi coinvolti, ma anche delle fonti che fanno questa stima. Così l’università di Pisa, qualche anno fa [2017], assegnava addirittura l’80% dell’origine degli incendi all’uomo. In effetti le cause naturali sono davvero poche: fulmini, autocombustione dovuta al caldo elevatissimo e poco altro. Molto più spesso è l’imbecillità della gente a fare il danno più grosso.
Sugli incendi c’è una vasta letteratura tecnica, nella quale non vogliamo entrare. Tra gli altri, esiste anche il cosiddetto “incendio zombie” (termine ovviamente non tecnico), che procede sottoterra bruciando la torba secca senza fiamme per carenza di ossigeno. Appena trova un’apertura, una radice sconnessa o altro, eccolo fuoriuscire e attaccare i tronchi e le chiome.
[NOTA PER SIMONE: questo l’ho messo per fare un esempio. Non sono in grado di discutere sulle tipologie di fuochi, ci vorrebbe un tecnico dei VVFF).
La protezione civile ha aperto un sito intitolato “Io non rischio” (LINK), nel quale vengono analizzate cause e pericoli legati a varie disgrazie possibili, tra cui anche gli incendi boschivi. Due sono i capitoli proposti. Il primo, “Cosa sapere”, elenca origini, allertamento, e conseguenze degli incendi, di modo che il cittadino sappia come individuare il pericolo e soprattutto cosa non fare di stupido durante una passeggiata nel bosco. Il secondo capitolo si intitola “Cosa fare” con una certa ridondanza dei suggerimenti come quello di non buttare sigarette per terra, non accendere fuochi nel bosco, non bruciare sterpaglie e così via. A volte l’avventura di fare una grigliata sotto i pini, può trasformarsi in una tragedia a causa del vento. Usare le aree attrezzate sembra essere la decisione più saggia. É abbastanza desolante dover puntualizzare comportamenti che sono alla base del buon senso.
Tra i cattivi distruttori di alberi, restano due categorie di persone: i piromani e i delinquenti. I primi sono, a detta delle autorità, molti più di quello che si potrebbe pensare. Sono solitamente individui che agiscono in solitario, appiccano il fuoco e poi magari chiamano i vigili del fuoco e se ne stanno là a guardare il risultato del loro gesto. Su di essi c’è una vasta letteratura che ne descrive i sintomi, le ansie, le voglie.
(https://www.amazon.it/s?k=piromani&i=stripbooks&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=2FRMCXZCXQSUB&sprefix=piromani%2Cstripbooks%2C94&ref=nb_sb_noss ).
Gli altri sono, invece, ben organizzati. I dati dell’indagine citata dell’Università di Pisa, analizza anche le motivazioni che portano alla distruzione degli alberi: rinnovazione del pascolo, recuperare terreni agricoli, ottenere vantaggi economici, creare posti di lavoro, bracconaggio, criminalità organizzata, vendette-ritorsioni, gioco-divertimento, motivazioni politiche, finalità terroristiche, copertura di altri delitti, mitomania. Ce n’è insomma per tutti i gusti, compreso il fatto che a volte gli incendi derivano da chi li deve spegnere, per aumentare le possibilità di lavoro. o da chi desidera entrare nei vigili del fuoco: più fuoco, più vigili.
Ci sono diverse storie di questo genere, raccontate dai delinquenti arrestati dalle forze dell’ordine italiane.
[NOTA PER SIMONE: qui non ho inserito esempi. Ne avrei, per non allungarmi troppo – fammi sapere]
La legge italiana considera l’incendio dei boschi un reato, previsto dall’art. 423 bis del codice penale. Per l’incendio doloso la pena prevista varia da 4 a 10 anni, per quello colposo (cioè fatto senza profitto) da 1 a 5 anni di carcere. In caso di danno all’ambiente, alle cose o alle persone, c’è un’aggravante, che può raddoppiare le pene.
Non possiamo però non parlare dell’organizzazione della lotta agli incendi. Chi si occupa di tutta la filiera che va dall’individuazione allo spegnimento dei fuochi nei boschi? C’è una legge quadro del 2000 e Decreti successivi (ad esempio il n. 120 del 2021). Quest’ultimo assegna al Dipartimento della Protezione Civile il compito di supervisionare e organizzare le varie attività, avvalendosi di tutte le forze in campo, quelle “attive” come i VVFF e i carabinieri e quelle più organizzative come le Regioni e le Province autonome, oltre all’ANCI, l’associazione dei Comuni Italiani. Il compito che ha davanti il Dipartimento è quello di stilare ogni tre anni un piano nazionale che faccia il punto e controlli se le risorse disponibili, sia come mezzi (denaro e strumenti) che come personale sono sufficienti.
Per primi ad affrontare le fiamme sono le squadre a terra regionali. In caso di difficoltà vengono chiamati mezzi aerei, dislocati in Italia in modo tale che l’arrivo in qualunque punto della penisola è garantito – dicono alla Protezione civile – in 60, massimo 90 minuti. Ci sono sale operative regionali, le SOUP, coordinate 24 ore al giorno, per ogni giorno dell’anno, da un centro operativo nazionale, il COAU, il cui personale è composto da uomini dell’aeronautica e della forestale. D’estate si aggiungono esperti dei Vigili del Fuoco.
(http://www.procivcorropoli.it/coau.htm )
Oggi noi vediamo film in cui da una saletta si riesce a vedere ogni cosa nel mondo. Anche le forze dell’ordine usano telecamere (ad esempio quelle del traffico per individuare automobili sospette nel bosco) e droni. Ma la partita è davvero complicata e gli arresti sono molto pochi rispetto ai reati commessi. I delinquenti che appiccano fuoco sono ormai dei professionisti e usano ogni mezzo per innescare gli incendi senza farsi scoprire.
Quello dei mezzi disponibili è uno dei grandi problemi nella lotta contro gli incendi boschivi.
Attualmente l’Italia possiede 19 Canadair; l’estate scorsa sono stati utilizzati 34 velivoli (15 Canadair, 9 elicotteri dei Vigili del Fuoco, 8 delle Forze armate e 2 dei Carabinieri). É tanto? É poco? Teniamo presente che nell’estate del 2022 ci sono state più di 1'100 richieste di intervento aereo.
C’è anche una flotta europea, anche questa però ritenuta insufficiente. La richiesta di aumentarla, passa attraverso la costruzione di nuovi aerei. Le previsioni sono deludenti, si parla di consegne per il 2029, se proprio le cose andranno benissimo per il 2028. Intanto occorre fare con quello che si ha e i risultati, a giudicare dalla storia recente, non sono certo esaltanti.
C’è stata una polemica recente sul fatto che i velivoli utilizzati in Europa per spegnere gli incendi siano tutti della stessa azienda. Il ministro per la protezione civile, Nello Musumeci, si è chiesto perché mai si debba avere un monopolio del genere e non si allarghi invece la flotta con altri partner.
La flotta italiana di velivoli, pur essendo di proprietà statale, è gestita da una società privata, la Babcock Mission Critical Services Italia, che fornisce l’assistenza e i piloti. Il contratto con lo stato è stato rinnovato fino a tutto il 2024.
Se mettiamo assieme tutto quanto (volo, riparazioni, hangar, personale, carburante, eccetera) un’ora di volo di un Canadair costa circa 15 mila euro. Per avere un’idea del costo totale, ricordiamo che il contratto prevede 3600 ore l’anno, che significa una spesa di 54 milioni di euro. É ovvio che non tutti gli anni sono uguali. Ad esempio, nel 2017 le ore necessarie sono state più di 10 mila, ma l’anno prima solo 1600. Quindi quando si risparmia tempo, può essere recuperato negli anni disgraziati in cui ne serve molto di più.
Ovviamente gli aerei vanno acquistati. Il prezzo stimato è attorno ai 25 milioni di euro. Poi ci sono anche gli elicotteri, ci sono le strutture di terra, ci sono gli uomini, i professionisti. Occorre valutare l’estensione della distruzione, i danni provocati all’ambiente, alle case e alle persone. E poi ci sono i costi di bonifica e di eventuale ricostruzione. Insomma, fare una stima di quanto costi economicamente spegnere un incendio è molto complicato. Ci sono dei dati interessanti. Il sito della WFCA (Western Fire Chief Association) parla di decine di miliardi di dollari l’anno negli Stati Uniti, con un picco di 22 miliardi nel 2012 e 16 nel 2020.
Da noi le cifre sono più modeste, ma non insignificanti. Una sola giornata di fuoco può aver bruciato oltre agli alberi, almeno 100 mila euro. Indovinate chi paga? Già, proprio così …
Ma, in mezzo alle fiamme ci vanno gli uomini: i vigili del fuoco, le guardie forestali, i carabinieri. In quali condizioni? Lo apprendiamo da un video, realizzato dalla RAI. Nell’estate del 2022, mentre il fuoco divampa, una giornalista del TG3 intervista i vigili del fuoco romani, che stanno cercando di domare l’incendio. Sono quasi rassegnati, non lasciano trasparire una grande speranza e la giustificano spiegando che a Roma ci sono 1300 pompieri divisi in quattro turni, quindi sono 325 per ogni possibile intervento. Per fare un confronto, Parigi ne ha 22 mila, pur con più o meno lo stesso numero di abitanti, ma con una superficie cento volte inferiore. Nel luglio 2022, in un solo giorno, sono stati chiamati, non solo per incendi, nei dintorni di Roma più di 400 volte … come si fa? E per di più con sole due autoscale … il terzo deve dunque aspettare. (https://www.youtube.com/watch?v=0mXOGHUg8bI ).
La storia degli incendi boschivi è una storia infinita. Quello che non cambia è il fuoco che divampa regolarmente, anno dopo anno. Possiamo dire che le spese per combattere questa guerra sono, alla fine, poca cosa, di fronte alla distruzione di un ambiente che dovremmo, come società, avere molta più cura di proteggere.
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FONTI:
  • FAO: Global Forest Resources Assessments (link FAO / link documento)
  • Dipartimento della Protezione Civile (link)
  • Dipartimento della Protezione Civile “Io non rischio” (Link)
  • Sito dei vigili del fuoco (link)
  • Sulla deforestazione per palme da olio (link)
  • WMO State of the Climate in Latin America and the Caribbean (link)
  • Nature: deforestazione in Amazzonia e CO2 (link)
  • Global Forest Watch (link)
  • Decreto-legge 8 settembre 2021, n. 120 (link)
  • Centro operativo aereo unificato (link)
  • Western Fire Chiefs Association (WFCA) (link)
  • Vari articoli online